“Ieri al Granillo grandi applausi per quello che verrà”
Reggina ultimo atto almeno per questo anno dai tanti colori grigiastri capaci di coprire lo smagliante colore amaranto. Un anno paradossale, kafkiano e quindi senza né capo né coda. Un anno gettato alle ortiche viste le forze in campo laddove hanno primeggiato un Lecce tutt’altro che trascendentale, un Catania balbettante e un Trapani debole e discontinuo. Poi il nulla: basta sfogliare la classifica finale per “ammirare” che agli spareggi promozione vanno, oltre che le due siciliane, la peggiore Juve Stabia di sempre, un Cosenza rabberciato, il Monopoli, la Casertana, il Rende, il Francavilla e la Sicula Leonzio. D’altronde, questo è il Girone Meridionale della serie C e, tanto per scomodare il sommo Pirandello, “così è se vi pare”. E crediamo che ne vedremo delle belle ai playoff. E il resto? Non ci mozzichiamo certamente la lingua nel sostenere che il resto è stata sofferenza allo stato puro e mediocrità allucinante, roba da sbattersi la testa al muro angolare.
Passiamo alla Reggina. Quando a giugno la famiglia Praticò aveva chiamato Agenore Maurizi, a Reggio Calabria vi è stato un picco sul consumo di giga: tutti a navigare per conoscere da vicino un allenatore dall’esonero facile, un trainer che, nella sua carriera, difficilmente ha chiuso l’anno sportivo senza essere mandato via. In riva allo Stretto, il buon Agenore, non si è certamente sconfessato e anzi ha reso maggiormente alla mercé dei tifosi amaranto la sua pochezza sia tecnica che organizzativa. Ma ha regalato pagine di maestria comunicativa dimostrando che, come uomo, non si può e non si deve discutere. Ad Agenore, infatti, bisogna dare atto che il più delle volte ha dovuto combattere solo contro tutti in un ambiente tutt’altro che tranquillo e idilliaco. Ai nastri di partenza si presentò una squadra giovanissima che perse a Rende ma che riuscì a battere il Catanzaro, a pareggiare con Paganese e Matera, vincere a Fondi e imporre l’uno a uno in casa della Virtus Francavilla. Ricordo che dopo la vittoria di Fondi, Maurizi, alla mia domanda volta a sapere dove potesse arrivare la sua squadra, rispose con un laconico “alla prossima con il Francavilla” come se predisse i tanti schiaffoni in piena faccia che avrebbe dovuto prendere quella sua squadra che all’improvviso smarrì la sua identità, la sua ferocia, il suo cinismo e il suo coraggio. Nel frattempo quella stessa compagine perse due indiscussi pilastri, quei De Francesco e Porcino approdati rispettivamente a Spezia e Catania lasciando un vuoto incolmabile nello scacchiere amaranto. Schiaffoni in faccia che sono cominciati a Trapani (3-0) e proseguite con partite che non passeranno certamente alla storia come, per fare un esempio, quella di Lecce, dove la Reggina era passata in vantaggio di due reti nei primi dieci minuti di un incontro strano, incomprensibile, quasi brechtiano. E vogliamo parlare della sconfitta in terra agrigentina, di quella interna con la Sicula Leonzio, di quella rimediata a Castellamare di Stabia e in casa con il Rende e Monopoli nonché dei i pareggi interni con Francavilla e Fondi? Sarebbe ingeneroso nei confronti di chi ha avuto la fortuna di trovare sulla propria strada compagini visibilmente più deboli e rabberciate oppure quelle colpite da provvedimenti disciplinari. Una su tutte il Fondi del Presidente Pezone che ha fatto indigestione di allenatori. Ma anche Fidelis Andria, Paganese, Catanzaro e Siracusa, insieme al Matera, non sono state certamente all’altezza vuoi per una cosa vuoi per l’altra.
Tutto è bene quel che finisce bene e così ieri pomeriggio, quasi cinquemila anime presenti all’ormai vetusto Granillo, hanno ringraziato giocatori e allenatore tributando loro un lungo applauso per aver centrato l’obiettivo della salvezza per la verità mai messa in discussione. Un applauso sia per quello che è stato sia per quello dovrà essere. La gente amaranto vuole e pretende un qualcosa di diverso, un campionato di tutt’altro spessore, un asticella più alta, obiettivi più cospicui e lungimiranti. La gente di fede amaranto vuole e pretende lavoro, sacrificio e maglie madide di sudore. E progettazione. Non si può infatti ripartire da zero ogni fine torneo non tenendo conto del lavoro svolto, delle pedine a disposizione, del materiale umano, delle tante storie che hanno arricchito la leggenda amaranto. Bisogna cambiare mentalità e tentare un discorso che inglobi due o tre anni di assiduo e proficuo impegno che porti attraverso lo studio e la progettazione ai fasti d’un tempo. Chiudo con un Forza Reggina che mi esce dal cuore perché anch’io faccio parte di quella gente di fede amaranto che vorrebbe rivedere la bandiera della Reggina issata a bellavista. Bandiera di cui sono andato, vado e continuerò ad andare fiero.
di Salvatore Condemi | 07.5.2018 | 9.11